Ecco un nuovo racconto di Augusto, che con la consueta vivacità ci racconta la sua recente esperienza all’Ultra Trail del Lago d’Orta. Ti ammiriamo e ci complimentiamo con te, Augusto !
Ormai la sigla UTLO da un po’ di anni ha il significato dell’appuntamento fisso.
Ultra Trail Lago d’Orta, un’avventura che man mano e per gradi crescenti ha significato il passaggio dagli iniziali 60 km ai 120 km di due anni fa.
Quest’anno è stata fortemente ridimensionata limitandosi a 60 km e 3500 m D+ causa le ben note problematiche, che per molte gare hanno significato l’annullamento.
Qui no: nonostante i disastri metereologici di tre settimane fa e le tempeste che si sono abbattute con particolare violenza proprio sui sentieri del trail, l’organizzazione ha modificato all’ultimo minuto il tracciato includendo comunque i punti e le vette più rappresentative.
Scaglionando inoltre le partenze in tre blocchi, obbligo di mascherina nei primi 500 m e in ogni ristoro, ristori che erano solo liquidi per evitare che i contatti tra le persone si moltiplicassero e che le regole sul distanziamento andassero a quel paese.
Insomma, una organizzazione come ogni anno (ma in particolar modo in questa occasione) impeccabile, serietà e passione coniugate nella riuscita di un evento tutto particolare.
In compenso io nella notte tra giovedì e venerdì (la mia batteria partiva sabato 17 alle 11) sto su tutta notte per un raffreddore molto forte (diciamocela tutta, giovedì mattina sotto la pioggia sono andato a correre senza maglietta…), senza altri sintomi che mi facciano temere la pandemia, ma arrivo a venerdì sera un po’ debilitato.
Tengo sotto controllo costante la temperatura e non ho mai tosse o insufficienze respiratorie, quindi parto tranquillo dal punto di vista di possibili contagi (a posteriori: io sto bene e nessun focolaio durante o dopo la gara).
Nonostante la partenza agevole mi devo fermare quasi subito perché ho messo a posto lo zainetto in maniera davvero indecente, quindi mi fermo dopo 15 minuti per tirare fuori tutto e rimettere a posto. Oggi ho con me anche qualcosa da mangiare vista l’autosufficienza alimentare completa, quindi sto attento a distribuire le cose per non dovere ogni volta cercare daccapo quello che mi serve.
I primi 11 km sono carini, ovviamente niente di spettacolare, tranne un sentiero in salita tutto su sassi lisci a gradoni, che scopro essere stati posati e utilizzati come traversine di un vecchio treno che trasportava macerie; infatti inghisati nella roccia si vedono ancora inserti metallici che costituivano gli attacchi dei binari ormai consumati dal tempo.
Prima della discesa verso Omegna sento lo speaker che annuncia i primi della prima batteria (quella delle teste di serie): quei MOSTRI ci stanno mettendo meno di cinque ore e mezza!
Ora, 60 km in quel tempo è già di per sé un’impresa in piano, pensare di farli con questo dislivello è semplicemente titanico.
Ripasso da Omegna con una mezzora di ritardo su quanto speravo (altre due soste: telefonata di un parente e spina sotto a un dito del piede). Adesso la parte più brutta con tantissimo asfalto su pendenze molto pronunciate, ma mi consolo pensando che la parte che mi aspetta è quella più montana, dove finalmente mi godrò un po’ di sentieri.
La prima salita e quella successiva sono in effetti divertenti, riprendo un po’ di gente e mi sforzo di correre su ogni tratto che me lo consente, quindi discese non infernali e falsi piani di salita e di discesa. In effetti oggi vorrei chiudere in poco più di 10 ore (ah ah ah…) e mi tocca dunque muovere le gambe appena possibile.
Passo la metà prima delle 16 e affronto la bella salita al Mazzoccone, che non è la punta più alta ma è la parte più dura del tracciato. Nulla di davvero difficile, quindi è bello tenere il passo intervallando qualche chiacchiera con gente appena conosciuta, tra cui un concorrente della Swisspeaks di quattro settimane prima, purtroppo ritirato.
Giù e poi su al monte Croce, meno duro ma più alto, a accoglierci nebbia e temperature basse. Io sto bene e non risento della indisposizione di due giorni prima, quindi riesco a restare con la sola maglia a maniche lunghe.
Scendiamo su sentieri di erba alta, sono passate da poco le 17 e non vedo l’ora di arrivare ai due terzi. Il sentiero adesso è facile e riesco agevolmente a correre, ho nello stomaco un tramezzino e qualche cracker ma va bene così. Arrivo a un ristoro dove ora prendo un po’ di te caldo, e indosso giacca, cuffia, frontale dato che sono passate le 18 e nei boschi il buio arriva prima.
Mentre salgo al Novesso tramonta definitivamente il sole e arrivo in cima col buio. Peccato perché la traccia è in costa tra rocce e radici, il che mi rallenta di molto, ma c’è il pensiero che inizia la discesa (con qualche dente qua e là) anche se ho capito che è proprio la discesa il mio male, almeno quelle che sembrano infinite e non passare mai.
Questa per fortuna non è così in quanto varia e appunto con tratti molto differenti tra di loro.
Porca misera, queste tre interruzioni di luce ravvicinate significano che mi sta finendo la frontale: non ho voglia di fermarmi adesso, quindi la regolo al minimo e infatti più volte metto male piedi e caviglie. Ma la stupidità è più forte della prudenza, quindi continuo così fino a un tratto su asfalto dove posso spegnere tutto e godermi la stellata.
Arrivo a una casa illuminata, mi fermo e cambio le pile (ne ho sempre di scorta, può sembrare una scemata, ma se ti finiscono non c’è niente da fare, finisce anche la gara sempre che uno riesca poi a raggiungere al buio un punto di controllo).
Panico, quelle nuove non vanno.
Impreco e rimetto quelle vecchie; mi accorgo allora che ho messo le nuove al contrario…Non è questione di stanchezza, ma proprio di essere degli imbecilli.
Meglio così, adesso posso finalmente procedere con sicurezza e aumento il passo considerevolmente.
La sorpresa è un torrente da attraversare: non c’è niente da fare, bisogna proprio entrarci e bagnarsi scarpe, piedi e calze.
Sto aspettando l’ultimo punto di controllo, che dovrebbe distare 6 km dall’arrivo ma che non arriva mai, e sono già le 21 quindi col cacchio la prospettiva delle 10 ore abbondanti.
Improvvisamente esco su strada e ci sono due volontari, mi dicono che siamo a Omegna e che mancano tre km e mezzo.
Porca vacca, la notizia mi ringalluzzisce all’alba delle 21,40.
Comincio a correre su una gradinata in discesa, poi arriva l’asfalto della periferia del paese.
Passo un campeggio e corro, corro, corro.
Arrivo al lungolago, corro.
Passo i giardini, vedo l’arrivo, corro; voci mi urlano che è finita, corro.
Il gonfiabile, taglio il traguardo e controllo l’ora sul timer, le 21,55.
Ecco, questa è l’unica nota positiva del mio tempo finale (10h55m), gli ultimi 3,5 km li ho fatti in circa 16 minuti.
Vabbè, fingo di pensare che alla mia età certi tempi non sono più nemmeno un miraggio, ma so bene che dovrei avere più buona volontà nel recuperare sui tratti corribili, invece di giocare di conserva e temere gli acciacchi del giorno dopo.
Uffa, è andata anche questa volta.