Ringraziamo Augusto, che ancora una volta ci ha inviato il racconto vivace della sua ultima impresa. Ed il titolo ironico ideato dall’autore mi offre lo spunto per una riflessione.
E’ vero, noi Avis Pavia non siamo frequentemente sul podio. Ma forse la percezione sottostima la realtà. Infatti noi non siamo soliti sbandierare sui social con toni trionfalistici un po’ ridicoli (si tratta comunque sempre di gare amatoriali !) ogni risultato di un nostro atleta. Ma questo é il nostro stile!
Ci sono cose che davvero trascendono il nostro controllo. O forse è solo questione di (diciamo così per non essere volgari) botte di fortuna.
14 aprile, Rustigazzo, provincia di Piacenza in direzione Parma, colline e boschi argillosi fino all’estremo tra i 400 m e i 900 m.
Un trail abbastanza corto e con un dislivello contenuto (52km quelli reali, 2500 m D+ ma azzardo che erano di più), che però non faceva rifiatare dato che era un su e giù continuo, con pochissimi tratti in piano e qualche strappetto decisamente infido, reso tale soprattutto dal terreno estremamente viscido e incattivito dalla pioggia che a un certo punto non ci ha più lasciati.
Siamo solo in 14 alle sette alla partenza e la lieta prospettiva è stavolta di arrivare almeno entro i primi 15; stanzone per l’accoglienza (i due trail più brevi partiranno dopo due ore) molto rustico, aria di paese e atmosfera di altri tempi, lontana da ansie di prestazione e orpelli di cui si farebbe decisamente a meno.
Il tempo di metterci tutti sotto al gonfiabile e partiamo al VIA del motociclista che ci accompagna per il primo mezzo chilometro.
Tempo umido ma per fortuna non caldo, temo il sudore e invece mi basta togliermi la berretta e rimboccarmi le maniche e vado via molto bene.
Inutile descrivere il susseguirsi di salite e discese, sono continue e abbastanza monotone; d’altronde siamo in una zona non certo panoramica, e il nebbiolino non aiuta i voli di fantasia.
Però mi piace un botto stare da solo per ore soprattutto oggi, e la prospettiva è proprio questa; ogni tanto supero qualche concorrente e procedo con un passo abbastanza sostenuto; chiaro che man mano calerà, ma per ora sto decisamente bene e riesco a divertirmi perfino in salita con un trotto lento ma costante.
Finalmente verso il 18km ritrovo Laura, unica donna in gara e mia socia a Grenoble tre anni fa: è un po’ costipata e la supero dopo una breve chiacchierata. Verso il 22km siamo in quattro, dal secondo al quinto in classifica, a cercare le balises che la nebbia in questo punto nasconde, meno male che uno di noi ha la traccia sul GPS e ci rimette sulla retta via.
Alé, altri quattro km e sento qualcosa di strano sotto alla pianta del piede, alzo la scarpa e vedo un bello squarcio nella suola; da qui in poi cercherò di non trascinare per non peggiorare la situazione, non ci sono rocce e la cosa mi riesce abbastanza facile e automatica.
Per molti km procedo con il terzo, è di poche parole ma nei punti giusti, così fino al 35km ci accompagniamo e ogni tanto scambiamo qualche chiacchiera, ma a uno dei ristori mi va via definitivamente e non riesco a stargli dietro. Rifiato camminando e Laura mi ripiglia con un passo che le invidio. Le grido che il terzo è a 200m e che sta per riprenderlo, mentre sono convinto che anche il secondo sia alla sua portata dato che non accenna a diminuire e ha preso un’andatura decisamente sostenuta; non è tanto la velocità, quanto la scioltezza con cui affronta il falso piano in discesa, nessun accenno a dolorini vari e una fresca agilità di chi sembra appena partita.
Finalmente arrivo in solitaria alla diga del 40km e qui comincia a piovere sul serio e a scendere la temperatura. Un paio di km in piano mi fanno bene dato che corricchio e riprendo un po’ di spirito buono; arriva finalmente il bosco e il tratto che i locali battezzano “Cappuccetto Rosso”: è in effetti un sentiero con pendenza assassina di 3km, impestato all’inverosimile di argilla scivolosa che devo superare a volte aggrappandomi agli alberelli, e capita di rifare al contrario anche 5-6m scivolando all’indietro fino a dovermi frenare puntando le ginocchia e le dita delle mani.
Finalmente finisce e sbuco in un pianoro: qui due volontari (momentaneamente assenti per sigaretta o per bicchierino?) mi dicono che sono il primo che vedono della lunga. Solo per un attimo accarezzo vigliaccamente la speranza di un generale (degli altri) errore di percorso, ma è inutile sperare dato che erano troppo distanziati tra di loro per ipotizzare che tutti abbiano commesso sbagli così grossolani.
Spingo ancora un po’ e arrivo all’ultimo ristoro, vicino alla tomba di un partigiano di 19 anni ucciso una settimana prima della fine della guerra; mi fermo un attimo per salutarlo e ringraziarlo, e poi gli angeli al ristoro mi dicono che mancano 5km (e non 8) e che sono terzo.
Bon, non credo più a niente e mi fiondo in discesa sul tratto peggio impestato per il fango e i ruscelletti; zampetto e corro ogni tanto fino a vedere un campanile familiare. Passo sotto al gonfiabile e mi confermano che il secondo si è ritirato poco più su per un colpo di freddo improvviso, mentre Laura ha involontariamente tagliato il percorso e si è ritirata per correttezza (grandissima, davvero).
Insomma, sono terzo, e la mia incredulità traspare nell’espressione idiota della foto ricordo, decisamente immeritata.
Però intanto è andata, e la soddisfazione c’è tutta, soprattutto se penso con ragionevole (e realistica) certezza che un altro podio lo vedrò solo in sogno durante uno dei miei sonni post-gara.