Riceviamo da Augusto la sua cronaca appassionata della sua ultima impresa: i “Villaggi di Pietra”, 107 km e 5800 m di dislivello positivo, sempre nei boschi e sulle creste dell’appennino piemontese ai confini con la Liguria. Grazie Augusto !
Erano circa dieci anni fa e avevo appena scoperto il mondo del trail; un po’ all’avventura mi imbarcai alle “Finestre di Pietra” di circa 34 km.
All’arrivo ero stremato, non camminavo nemmeno, ma ricordo che alle docce guardavo chi aveva appena finito la gara maggiore come fosse un eroe.
Dopo un anno, tornai da quelle parti per la mia prima ultra, le “Porte di Pietra” di 71km, una gara storica; alla fine non mi serviva camminare, per un paio di giorni fluttuavo a due spanne da terra in preda a una dolce euforia per una prova che mai e poi mai avrei pensato di portare a termine.
E infine eccomi adesso, reduce sabato scorso dai “Villaggi di Pietra”, 107km e 5800m di dislivello positivo, sempre nei boschi e sulle creste dell’appennino piemontese ai confini con la Liguria, epicentro a Cantalupo Ligure in provincia di Alessandria, con la parte finale che tocca (per chi conosce la via del sale) Capanne di Cosola e il monte Chiappo.
Partenza alle 20 di venerdì sera dopo una cena autoprodotta a base di riso e piselli, birra, banana e un aperitivo giusto per stemperare quel minimo di tensione che man mano inevitabilmente si accumula.
I primi km sono un su e giù per strade asfaltate che hanno il solo scopo di portarci alla salita della Croce degli Alpini, il pezzo decisamente più ostico che in pochi km ci fa salire di circa 1000m, quasi un vertical kilometer molto impegnativo, ma a mente fresca, luce ancora alta e creste finali decisamente suggestive.
Il tempo di entrare nei boschi e scende il buio; i sentieri sono belli o almeno questa notte mi piacciono così, tanto single track corribile e qualche salita con pendenze da parcheggio interrato, l’aria fresca e gradevole e il cielo stellato sono però due ottimi compagni di viaggio, soprattutto adesso che le cose girano per il meglio e che le ore di piena solitudine invece di pesare mi sono di conforto.
Il balisaggio è essenziale, la regola del “da una balise devi vedere l’altra” qui non vale: la traccia è ben definita e le segnalazioni servono solo per iniziare i tratti, definire i bivi, ogni tanto confermare la bontà della direzione. Addirittura, a volte mi diverto a ricercare i catarifrangenti tra gli alberi, è bello così e sto proprio bene.
Procedo e arrivo a Cabella poco prima delle due, al 33 km, proprio al morire della mia frontale che ha illuminato molto fiocamente gli ultimi km facendomi prendere qualche rischio in discesa: primo ristoro solido (ce ne saranno solo 3, la peculiarità della corsa è di mantenere la promessa di autosufficienza alimentare), ma rinuncio alla pasta per mangiare le uniche cose di cui mi nutrirò per quasi 24 ore, patatine e Dixi. Lo so, fa quasi schifo, ma allo stomaco non si comanda.
Riparto nel greto di un fiume e l’aria che scende dai monti si fa sentire, però riesco a procedere con la maglietta a maniche corte e i manicotti, non ho voglia di tirare fuori la giacca anche se temo per la gola, ma tengo duro e rampando in salita riesco a mantenere una temperatura accettabile.
Ricomincio a procedere da solo e il buonumore persiste, al sorgere dell’alba dietro le creste (sono in cima verso i 1400 metri e lo spettacolo è notevole col cielo che da nero diventa cobalto e poi azzurro) arrivo a un ristoro liquido, che però mi offre anche un bel bicchiere di vino rosso; riparto e dopo un paio di salite arrivo all’Antola.
Invece di percorrere a ritroso la via del sale deviamo e allunghiamo in un tratto davvero caratteristico scendendo prima a torrente e poi correndo attraverso i piccolissimi villaggi ormai diroccati in pietra, che danno il nome al trail.
Verso le nove e mezza arrivo alla base vita, ma ho scelto di non farmi portare la borsa dei ricambi (ho deciso di portare tutto con me fin dall’inizio) e mi limito a mangiare … esatto, patatine. Lo so che sto rischiando un clamoroso errore di nutrizione, ma fa lo stesso e mi sforzo almeno di mangiare due fette di pane liscio. E un pezzetto di torta alle mandorle di cui sento subito la farina particolare di grano duro, infatti la signora mi conferma che l’ha cucinata lei; faccio i complimenti e riparto.
Sono al 66 km quindi abbastanza in linea coi tempi; purtroppo il buon passo man mano cederà la sua lena e alla fine abbasserò di brutto la media.
Dopo un paio di salite arrivo alle Capanne di Carrega, e da qui è via del sale piena. Dal ristorante guardo il monte Carmo che è imponente e rivela un dislivello abbastanza omicida, prima parte nel bosco e tiratona finale alla cima.
Scendo e cammino senza più correre fino alla salita oltre la quale ci sono le Capanne di Cosola; qui è un continuo tuoneggiare e in lontananza si vede la tempesta verso il monte Chiappo, per ora sono solo poche gocce ma il fondo è fangoso e dannazione c’è un single track con una pendenza trasversale che impedisce di correre, rendendo obbligatorio in certi tratti la presa sulle radici o sull’erba laterale per non slittare verso il dirupo del lato opposto.
Eccomi al ristoro di Cosola, mi fermo a riposare un po’ e a farmi passare la crisetta di stanchezza, mentre purtroppo comincia a piovere sul serio; dietro suggerimento provvidenziale vinco la pigrizia e mi infilo maglia pesante e giacca, decisamente necessari e senza i quali non avrei concluso.
Per salire devo uscire dal sentiero e rampare sull’erba (mi ostino a correre senza bastoncini) fino al monte Ebro, appena prima deviazione a destra e discesa al rifugio Orsi. Dove non mi fermo e continuo per le ultime rampe.
Il temporale è finito ma qui ha lasciato giù strati di grandine, il fondo è pesante e ormai il fango mi accompagnerà fino alla fine.
Che dire, le ultime salite sono come tante altre, le passo e inizio la discesa che si rivela peggiore del previsto, sia in termini di lunghezza (almeno 8 km) che di fango, che copre metà scarpa quasi ovunque e mi rende impossibile correre, e che si intervalla a pozze che sono veri e propri laghi, o li circumnavighi passando di lato o purtroppo a volte ci devi passare dentro entrando fino a tutta la caviglia.
Finalmente arrivo a valle, ultimo tratto e gonfiabile. 23 ore e mezza, almeno un’ora e mezza più del previsto, la cosa positiva è che sono le sette e mezza e ho tutto il tempo di tornare a casa.
Bevo finalmente un paio di birre, salto il pasta party e salgo in auto, dopo aver salutato un po’ di amici.
È stata una bella avventura, posti non indimenticabili (colline e boschi non sono le montagne innevate e i laghi alpini) e certamente una organizzazione che non a caso sta sul pezzo da quasi 15 anni, puntuale, senza fronzoli e che sa il fatto suo nel disegnare un tracciato nervoso il giusto e che ti mette alla prova fino alla fine.
Ultimo particolare: mi è capitato di avere allucinazioni durante i lunghi nelle notti, questa volta mi è successo di giorno e a pensarci adesso le immagini vivide che mi hanno sorpreso di tanto in tanto sono stati strani ghirigori di una mente ormai stanca.