Metti che una sera, d’inverno…

 

luna-piena

Alla fine sono arrivato a stradella che erano già le dieci e un quarto, il lavaggio dei piatti ha preso più tempo del previsto. Solo e ramingo, ma spero che questo insulso racconto muova la curiosità di qualche podista notturno.

 Si comincia l’avventura nella piazza del campanile: la movida del venerdì sera ha già mosso i primi passi e come ogni volta pare davvero strano vedere le compagnie fuori dai bar per gettarsi nel buio: la sensazione però è proprio quella che ci vuole, dà giusto l’impressione del lasciarsi qualcosa alle spalle per entrare in una dimensione nuova e imprevedibile.

 La prima rampa è quel che ci vuole come battesimo, via vena è una pendenza che aumenta a poco a poco e scalda le gambe senza sforzarle troppo, conducendo a una bella vista sulla chiesa di montalino con, alle spalle, una luna strepitosa che illumina a giorno.

 Si attraversa la panoramica e si continua a salire verso montebruciato, e la luce dei lampioni scompare completamente.

La frontale è un disco di luce che tengo al minimo, basta giusto per far intravedere il bordo dell’asfalto, ma tutt’intorno il resto è poco più di un’ipotesi; solo l’abbaiare dei cani sveglia dal torpore e dall’affanno leggero, e sono coppie di occhi che la luce artificiale colora di verde o di cobalto.

 I tornanti si fanno sempre più stretti e si arriva in cima, poi verso canneto pavese: un rettilineo in discesa dove però è meglio fermare ancora le gambe e arrivare tranquilli in paese (prima c’è un’altra vista sul campanile della piazza, e la luna in alto di tre quarti).

Via verso castana nel km più noioso, che finisce alla deviazione per monteveneroso: discesa secca sulla sinistra, solo un paio di metri di piano e poi di nuovo la salita.

La strada stavolta è di nuovo senza luce, ma in più la collina a ridosso toglie anche quella minima della luna, quindi è un km abbondante di buio totale.

La salita aumenta, poi aumenta ancora: il segnale è una piccola costruzione in mattoni su cui qualcuno ha disegnato con pittura bianca una madonna stilizzata, che alla luce obliqua della frontale si anima e pare che ti segua.

Fine della salita, siamo a un gruppo di case isolate, curva brusca e castana è all’orizzonte (manco a dirlo, illuminata dalla luna piena); un’auto ci sta andando e i suoi fari nella notte tracciano come un evidenziatore mobile la stradina buia che ci sarà da percorrere.

Arrivo a castana, piazza, cimitero (due mesi fa la luna era molto più bassa, e in questo stesso punto si dipinse di rosso sangue, un quadro che ricordo ancora), poi discesa verso un piccolo borgo di case tutte in fila, molto vecchie e tutte differenti: mi piace sempre passare di qui, anche per l’inizio della lunga discesa verso montescano.

 Vedo appena sotto la piazza del comune, ma in realtà la strada è un gomitolo che si dipana in direzioni imprevedibili (il buio è quasi totale) e allunga la traiettoria.

La discesa è come ti immagini il percorso di una biglia al mare lungo una pista di sabbia: qui puoi lasciarti andare verso la prima metà e riempirti i polmoni di aria, che in questi punti diventa gelida senza far male.

 Eccoci allo stradone, la rotonda “del bottiglione”: manco a farlo apposta, il tappo indica proprio la chiesa di montù là in alto: ma è ancora un’illusione, scambi destra-sinistra portano fuori strada dalla direzione principale e allungano il percorso.

 Ora, non so perché ma a me questo pezzo piace da matti: il buio torna senza luna e la frontale (sempre al minimo, una volta l’ho spenta del tutto e è stato come cadere nell’inchiostro) a volte è insufficiente a definire i contorni della strada.

Arrivo a un pratone e vedo come ogni volta una piccola edicola con un santo, illuminata nel buio: sembra un relitto in mezzo al mare, e ogni volta ha l’effetto di darmi una piccola spinta a accelerare il passo.

Tassarole, marcadello, e montù è in vista; ormai manca la rampa finale, entro in paese, giro a sinistra, e arriva la tratta finale alla piazza con pendenza assassina: l’effetto è quello di mettermi fretta, pigio sull’acceleratore e scollino a gambe levate.

Adesso si scende, cimitero e laggiù le colline dell’ultima salita: vedo da lontano “il fungo” di stradella, sapere di doverci andare e tenerlo d’occhio regala la sensazione del viaggio, è come essere appena partiti e avere una meta ben precisa, e non avere un’idea del percorso.

Il paesaggio è di nuovo buio e non lascia indovinare quasi niente, e a ogni cambio di direzione la fine del cammino sembra doversi allontanare.

Però so che arriverò, e questo basta per dare l’esatta percezione del tanto che è già stato corso.

 Appena dopo l’ultimo gruppo di case c’è un boschetto,e ogni volta che ci passo di notte sento un rumore di fruscii tra gli alberi, probabilmente c’è una colonia di uccelli proprio lì, ma il buio e l’indeterminatezza mi fanno accelerare e allontanarmi in fretta.

 Arrivo allo stradone, e questa volta la cosa mi investe in pieno: sento di botto che tutto sta andando bene, accelero sulla statale e arrivo alla salita verso la panoramica, riprendo la salita, giro a sinistra verso torre sacchetti.

Mi immagino (nell’ora indefinita che separa un giorno da quello successivo lascio che l’immaginazione corra con me) di essere al termine di una gara, sono partito tra gli ultimi, ma ora sto recuperando.

Come un bambino sotto l’influsso di un mago da fiera mi lascio imbrogliare, e allungo il passo; la pendenza cresce, l’aria in questa salita riparata dalle correnti è fredda e ferma, la luna si intravede ogni tanto; continuo a accelerare, più la pendenza sale e più aumento la frequenza del passo e l’ampiezza della falcata; ormai è una gara con la mia immaginazione e tutto mi sembra lì a un passo.

 Arrivo alla “passeggiata” e al rampone finale continuo a forzare: è forse il tratto più bello della notte, e sufficientemente lungo perché riesca a godermelo completamente.

Finalmente scollino per l’ultima volta, sono tornato a montebruciato e adesso è discesa fino a stradella.

Ripasso davanti alla chiesa di montalino, giù, stradine secondarie e buie: sbuco da dietro sulla piazza bassa e mi becco l’ultima dose di endorfine che mi riempiono il cervello con una ripetuta sulla salita in cui riesco a dare tutto.

Sono in piazza, la gente mi guarda strano e qualcuno ride, ma per me è stata ancora una nottata di sensazioni uniche a cui, pur sembrando uno scappato dal manicomio, non sono più in grado di rinunciare.

 Sono 27 km, e direi un dislivello totale di 1700 m (in giornata ci sono stati 3,5 km a nuoto, ma la bellezza della notte me li ha fatti dimenticare completamente).

Venerdì prossimo conto di tornare, fatevi vivi che ne vale la pena.

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