Anche quest’anno il nostro Augusto ci ha inviato il suo vivace racconto della sua ultima mission impossible. Un articolo appassionante, che si legge tutto di un fiato.
Quest’anno è stato decisamente buono dal punto di vista degli Ultratrail, solo tre ma tutti sopra i 100 km (il secondo un’ecatombe con il 60% di ritirati).
E la Via del Sale in tappa unica in solitaria, cena finale con la famiglia a base di pesce e vino bianco, che come premio finisher autogestito è stata decisamente una bella idea.
Ecco, l’anno si è concluso nel migliore dei modi: per la sesta volta su tutte le sei edizioni ho terminato il Vialattea Trail sulle piste nere di sci dell’omonimo consorzio, partenza e arrivo a Sauze d’Oulx con intertappa a Sestriere, 24 km con 1700 m di dislivello positivo e cima massima a 2700 m, partenza alle sei di sera e quindi tutto alla luce della frontale, su sentieri e piste finalmente innevati e temperature minime attorno ai 20°C sottozero.
Alla partenza, per la prima volta, indosso i ramponcini sotto alle scarpe (scarpe normali, preferisco bagnarmi i piedi ma evitare il Goretex), poi calze di lana, pantaloni lunghi, maglia pesante, micropile, giacca in Goretex, scaldacollo, cuffia e i mitici guanti bianchi di cotone (le mie mani reagiscono bene al freddo) dell’Avis della premiazione di quasi 15 anni fa.
Partiamo subito in salita, 6 km di pista con pendenze fino a 30 gradi, neve pressata e la compagnia silenziosa per un po’ di Giovanni del trio AldoGiovanniGiacomo, che per la seconda volta è venuto alla manifestazione e che correrà la 12 km.
Sono partito senza acqua, le altre volte in meno di mezz’ora mi si era già ghiacciata e diventata quindi inutile, tanto non ne avrò bisogno.
Si continua a salire e comincia a tirare un vento freddo che porta con sé pezzettini di ghiaccio: ho il volto scoperto e le guance lo sentono tutto (anche qualcos’altro ne risente, non ho indossato niente di intimo e la zona più privata è messa a dura prova … scusate ma è un aspetto da considerare in certe gare).
Arrivo al primo ristoro e comincio come un indiavolato a ingurgitare cioccolato e merendine come se non ci fosse un domani: mi forzo a venir via e penso che non mi è mai successa una cosa del genere, immagino che sia un po’ per la fame in sé, poiché non ho cenato, ma che gran parte sia dovuta al freddo che chiama la necessità di calorie nel minor tempo possibile.
Due bicchieri di tè bollente, basta il tragitto thermos-bocca e la temperatura si abbassa rendendolo bevibile in un sorso; bon, si riparte.
Qui altra sorpresa (non voletemene: lo dico un po’ per ridere ma è successo veramente): dato che fermandomi all’aperto mi sono raffreddato e che non ho cominciato subito a corricchiare sul piano, mi si gela il muco direttamente nel naso, respiro ed è come avere un groviglio di ragnatele nelle narici. Sinceramente a pensarci là sul momento mi è venuto da ridere: “Bestiale! Mi si son gelate le caccole!” ma procedo senza problemi veri.
Scollino ai 2700 m che sono le ventuno passate e giù verso Sestriere, discesa su neve poco battuta e esercizi propriocettivi per restare in piedi, praticamente una allenamento involontario sull’equilibrio del corpo.
Vado vado vado e arrivo a un bivio che gli altri anni non c’era, da qui (mannaggia!) quasi 2 km di salita. E pensare che eravamo quasi in città, ma ci fanno allungare e il tratto inaspettato mieterà un bel po’ di vittime.
Finisce con una discesa maledetta, è tutta su un pratone con la traccia larga al massimo mezzo metro da cui io per evitare di capitombolare in discesa vista la pendenza esco, fiondandomi nella neve fresca che mi arriva quasi all’inguine. Penso all’invidia dei figli se mi vedessero, ho trasmesso loro la mia passione estrema per la neve, e adesso se la godrebbero.
Arrivo a Sestriere e al ristoro, stavolta al coperto. Mangio e bevo, quindi riparto.
Purtroppo la neve mi è entrata nelle scarpe ma non si scioglie, quindi due effetti: mi riempie le scarpe e mi stringe dolorosamente le dita dei piedi, e si ghiaccia nel tratto dei malleoli che alla fine saranno arrossati per lo sfregamento, ma per fortuna non sanguinanti.
Si risale per tornare al primo ristoro, la salita è lunga e ipnotica, però mi conosco e so che in questi casi metto la modalità “un piede dopo l’altro” e mi godo anche il cielo stellato, man mano che supero gente di buon passo.
Sono finalmente solo, e ci resterò per più di un’ora: chiacchiero a voce alta con me stesso come mi piace fare, me la conto su e mi tengo compagnia, fino al ristoro.
Alè, altra scorpacciata di roba dolce e giù.
Che G-O-D-U-R-I-A! 6km di discesa tutta su pista nera, ovvero pendenza assassina su fondo compattissimo. Benedico i ramponi e mi fiondo, addirittura (in discesa di solito sono un gatto di marmo e vengo ripreso da un sacco di gente) stavolta nessuno mi supera da tanto vado giù.
Qui alla prima edizione c’erano 25°C sottozero e vento gelido, temperatura percepita sotto ai 30, avevo perso le balises e avevo optato per seguire di corsa la massima pendenza sperando che così facendo mi sarei riportato sulla retta via, cosa che effettivamente accadde e contrattempo finito bene che mi fece subito innamorare di questa corsa.
Stavolta le luci sono più evidenti e filo come un treno (beh, più o meno) divertendomi davvero tanto, fino all’apice quando vedo il paese di arrivo e so di avercela fatta pure stavolta.
Ecco, bravo: sbaglio a un bivio, ma nulla di grave dato che adesso la direzione è chiara e mi basta risalire un goccino per ritrovare quella giusta.
Ultimo pratone, asfalto, gonfiabile, traguardo. Mi metto al caldo e aspetto i miei altri soci con cui sono venuto qui; uno purtroppo si è ritirato causa rottura dei ramponcini, l’altro arriva dopo 15 minuti e (giuro) con un suo amico si mettono a scaldare su un fornellino una tazza di grolla, nel senso che si erano portati tutto nello zaino per brindare all’arrivo.
Questo trail, ancora più degli altri, secondo me deve essere preso come un gioco divertente, senza smanie da classifica ma pensando solo a divertirsi e a godere di un tracciato che è unico sia nel senso stretto del termine che per le condizioni al contorno.
Purtroppo quando torniamo in palestra troviamo una donna che sta piangendo dal dolore perché le si è congelato un piede e ne ha perso la sensibilità, credo che a peggiorare le cose ci sia una bella fetta di spavento che certo non contribuisce a mantenerla lucida.
Anche così, comunque, è una gara che consiglio e che con qualche accorgimento (un paio di ghette che isolino i piedi, per esempio) è decisamente fattibile, non fosse che per la sua particolarità.
E, come ogni anno, mi sento “obbligato” all’iscrizione anche per l’edizione che verrà.