Ringraziamo Augusto, che ci racconta con vivacità la sua più recente avventura all’ultratrail di Bettelmatt.
“Ailovu beeeibee”. Fermi tutti, è sabato, è la una e un quarto di mattina, sono nudo nel bagno di un albergo e mi sto cospargendo di vaselina le mie zone erogene, ancheggiando alle note di questa canzone dance che l’altoparlante in strada cannoneggia nella notte altrimenti silenziosa.
C’è decisamente qualcosa che non va.
E invece tutto va per il verso giusto: 16 luglio 2016, preparazione alla Bettelmatt Ultra Trail, 83km e 5.080m di dislivello positivo, partenza tra un’ora e tre quarti.
Il briefing della sera precedente è stato uno spasso: alla fine di una presentazione vagamente inquietante (occhio alle pietraie, occhio alle lingue di neve) il succo è stato che “essendo la prima edizione siete un po’ delle cavie”. Non male come buon auspicio, Eleonora che è con me (e che con il suo ragazzo mi farà il regalo enorme di darmi un letto della loro camera risparmiandomi il sonno in auto) si sposta sull’agitato andante, ma tanto alla fine arriverà prima di me al traguardo.
Alle 3 siamo tutti in marcia, per un inizio trotterellante su asfalto che poco dopo diventa sentiero, e di asfalto ne vedremo davvero poco per tutto il santo giorno.
La prima ascesa è lunga parecchio, ma il buio mi è complice e mi fa passare più in fretta i chilometri, forse perché aspetto con impazienza le prime luci dell’alba e i colori che man mano si definiranno.
Il chiarore mi sorprende appena dopo il lago Vannino e mi fermo per filmare quello che ho attorno, prima di proseguire.
La temperatura che percepisco, nonostante il vento, non è così bassa come mi aspettavo, da un po’ ho tolto la giacca e proseguo in maglietta leggera e manicotti, tenendo però il buff sul collo per evitare che il vento mi dia problemi alla gola.
Arrivo in cima e continuo a prendere le foto di un panorama magnifico che mi lascia con tanto d’occhi; la giornata è così nitida che i colori sono vivi e i profili delle montagne si stagliano contro l’azzurro intenso del cielo.
A un certo punto parte la discesa secca e giungo al primo ristoro di Devero, dove purtroppo trovo solo roba dolce, decidendo di partire quasi subito per l’ascesa alla Scatta Minoia, una salita bellissima con vento forte e sensazioni positive continue, per tratti finalmente un po’ in solitaria.
Al ristoro quasi in cima vedo in disparte un tavolo con gli alpini: evvai, mi avvicino e trovo quello che cercavo; due bei bicchieri di vino bianco e si arriva in cima.
Qui mi fermo e giro un altro video a 360°, per scendere subito dopo al lago Vannino.
Dal lago al passo Nefelgiu una salita che definirei brutale, 2km e 400m D+; ma (com’è o come non è) sono in uno stato di semiesaltazione e proseguo bene, almeno per i miei standard. Forse mi ritempra il fatto di essere finalmente arrivato a metà strada e di avere la discesa alla base vita di Riale.
Anche qui ristoro un po’ scarno, nonostante la presenza della pasta, che però non prendo per ripartire quasi subito e attaccare la salita peggiore che mi porterà al rifugio 3A quasi ai 3.000m.
Il sentiero (dopo il piano che costeggia il lago della diga) è decisamente ostico, poco segnato e tutto su pietroni che hanno l’unico merito di farci guadagnare un po’ di quota in pochi km…ma che fatica.
Arrivo al lago Sabbioni, ne attraverso di corsa lo sbarramento ma mi devo fermare per qualche foto da quanto è bello quello che mi circonda.
Purtroppo sulla salita da qui mi piglia una mezza crisi, nulla di preoccupante ma mi rallenta di un po’ prima di arrivare al rifugio Claudio e Bruno, qui tento di ripigliarmi bevendo acqua, ma non è quello che mi serve dato che la mia è solo stanchezza e quindi riprendo per arrivare finalmente al rifugio.
Anche qui niente di che al ristoro, e allora via dopo l’ennesimo video tutt’intorno.
È improvviso e inaspettato, ma la pista di neve da quasi 2km mi fa riemergere dal pantano: i primi 400m di culo e i restanti sciando (o quasi, mai indossato un paio di sci in vita mia) sono distrazione pura, e divertimento bambinesco.
Arrivo al rifugio esposto al vento, e finalmente mi fermo per indossare una maglia più pesante a maniche lunghe, per imboccare la discesa verso Bettelmatt.
Che con mia sorpresa è un pratone, mentre pensavo a una cittadine svizzera; quasi meglio così, riprendo immediatamente per l’ultima salita carogna del percorso; ma ritrovo (misteri della mente) il bello spirito di due salite fa, e proseguo con un buon trotto fino alla vetta incredibilmente ventosa, che fa da prologo a un lungo traversone dove l’altimetria dichiarata (finora un po’ approssimativa ma realistica) mi pare differente da quella che sto pestando.
Sono di nuovo solo e focalizzo su una cosa sola: da qui in poi non devo attraversare tratti ostici, da adesso è solo distanza e non devo farmi raggiungere dalla scimmia dell’arrivo ma proseguire in maniera costante senza farmi prendere dallo sconforto, perché di chilometri ce ne sono ancora.
La salita all’ultimo passo è abbastanza inaspettata, ma va via pure questa, per arrivare all’ultimo traverso che costeggia un lago artificiale fino allo sbarramento.
Da qui è discesa, non difficile che percorro al piccolo trotto, mentre Riale si avvicina tornante dopo tornante.
Parlo con i miei compagni e la cosa mi mantiene lucido, entriamo nell’asfalto finale, ci accompagnano gli ultimi applausi e finiamo col chiaro, e la scommessa vinta di non riaccendere la frontale.
17 ore e tre quarti, minuto più o minuto meno; testa lucida e gambe a posto, certo che raggiungere la navetta del rientro a 100m con 0,5m D+ è stata una faticaccia.
Al solito ho lo stomaco chiuso e salto il pasta party (quello del venerdì è stato soddisfacente, pasta, formaggio e birra a volontà), dopo le dieci ci troveremo io e Eleonora all’albergo, lei una birra e io un Negroni, e questa è la chiusa di una giornata bella e selvaggia.
Impressionanti i numeri: 193 partiti e quasi 80 ritirati o fermati ai cancelli, ma anche a me i dati di distanza e dislivello (comunque corretti) sembrano non rappresentare la difficoltà di un percorso molto duro.
Con panorami continui di una bellezza difficilmente descrivibile, e un percorso senza tratti “inutili”, tutti ben distribuiti, mai banali e mai noiosi.