E’ ricominciata la stagione dei trail, pare strano ma fa molto piacere constatare che (come per gli animali) gli istinti che l’inverno aveva sopito sembrano risvegliarsi e prendere forma.
E’ venerdi, è notte, è di nuovo luna piena; ancora una volta quel pezzo di sasso è molto vicino e non lascia proprio nulla all’immaginazione.
Insomma: sono le undici meno un quarto e sono qui a stradella, parcheggiando sotto al campanile.
La serata è calda ma ormai non c’è più nessuno in giro, tutti ai propri appuntamenti della serata.
E io qui col mio, voglio proprio vedere se la testa regge e se le gambe le daranno ragione.
Si va via sul solito percorso che porta a Montalino, sensazioni ormai usuali mi accompagnano in cima, via verso Canneto, poi verso Castana, infine alla piazza come al solito (quanto mi piacciono i bar di paese e chi li anima) ancora pieno di gente che ride e beve e si diverte.
Però stavolta si cambia: non ci penso nemmeno e svolto a destra.
La salita comincia senza farsi annunciare e porta man mano verso le frazioni fatte di poche case.
In una di queste mi ferma un’auto che da un po’ mi stava seguendo: sono due ragazzi che mi fanno “Scusi (mi danno del LEI!!!), ma che cosa sta facendo?”
Spiego le mie intenzioni, mi guardano strano e mi augurano buona fortuna mentre spero di avere la voglia di portare a termine quello che ho appena descritto.
Va bene, proseguo verso Santa Maria della Versa e la strada è deserta, arrivo finalmente alla deviazione su Francia, giro a destra e comincia un tratto assolutamente al buio.
Ah sì, stavolta ho deciso di lasciare spenta la frontale, quindi il panorama verso l’alto è tutto mio, mentre la strada scorre con ben poche indicazioni che non siano i fossi da cui si alzano a fiotti le cicale.
Passo Francia e poco dopo c’è la deviazione su Santa Maria, giù a sinistra e rettilineo, entro in città e la attraverso.
Un tizio un po’ sbronzo sorride e mi saluta: sarà l’incontro più umano e fraterno della notte.
Esco; via a sinistra finalmente in salita.
Corro corro corro: dopo 4 km finalmente sono a Torrone; via a sinistra in direzione Rovescala e giù per la discesa che porta in direzione del campanile che si vede giù in fondo.
Nel frattempo s’è fatta la una e venti e c’è questa luna incombente che non sembra per nulla una sfera, ricorda piuttosto una patata da quanto è illuminata e da come appena giri pare che la circonferenza (da tanto è grande) risulti schiacciata sia dalla prospettiva che (inutile negarlo) dalla mia lucidità che pian piano sembra perdersi nella notte che incombe.
Sono a Rovescala e mi concedo un pausa di mezzo km, poi proseguo in discesa.
Qui è davvero impressionante come la mia ombra proiettata dalla luna si stagli sulle colline tutte attorno, sembro un gigantesco spaventapasseri che si muove ritmicamente sui versanti e accarezza gli alberi e le siepi attorno.
La magia cessa con la pianura; arrivo all’incrocio e vado dritto in una scorciatoia verso Montù Beccaria, e sono ormai al trentesimo km.
Qui un mese fa avevo visto sotto la luna un ungulato, forse un daino anche se strano fosse qui in basso; adesso è un falchetto che rompe l’aria e che descrive cerchi sempre più lontani.
Ho circa tre km in salita che mi divertono e mi fanno dimenticare di averne così tanti alle spalle perché so di averne così pochi ancora davanti.
Vedo una chiesa a cui non arriverò, devio e passo in tante frazioni, tutte case che dormono, tranne i cani che si svegliano e si svegliano tra di loro.
Passo via, fiuto l’aria, ascolto i suoni: sono a Montù e sono quasi le due e mezza.
Via, curva a destra e piazza, stop e bevuta dal camel bag, cimitero, bosco, curva e poi ancora curva, discoteca, stradone.
Eccomi, passo il cartello di Stradella e entro finalmente nel rettilineo finale.
Ormai sono 40 km, con un dislivello magari non eccessivo ma con pochissimi tratti in piano.
L’ultima salita e arrivo in piazza, tocco la portiera dell’auto: tana.
Sono le tre meno qualche minuto e un po’ mi incacchio: ma come, l’altra volta stesso percorso ma con più pause, possibile che ci abbia messo così tanto???
Poi invece ci penso, mentre torno a Pavia e mi bevo una birra guidando (ops…): mi sono goduto ogni singolo metro della cavalcata, non sono mai entrato in affanno (questo l’insegnamento principe dell’ultratrail: segui la preda e resta sempre lucido) e ho ricordi che mi sono entrati nelle vene.
Sono felice, eh sì: sono davvero felice.