Riportiamo il racconto di Augusto:
Lunedi 23 febbraio 2009, all’interno della settimana del viaggio di aiuti nei campi profughi Saharawi (uno dei popoli dimenticati, tuttora oggetto di repressione da parte del regime del Marocco, la permanenza era con le famiglie locali senza avere trattamenti di favore ma condividendo il poco che hanno), ho corso coi colori dell’Avis Pavia la “Sahara Marathon”.
Su un percorso di 42km e 500m abbiamo attraversato distese di sabbia e di pietre, villaggi di donne e bambini calorosissimi, 9km di dune di sabbia (tra il 24km e il 33km), sotto al sole, in una giornata stranamente risparmiata dal vento.
La partenza alle sei di mattina su un autobus di almeno 25 anni, senza finestrini (a quell’ora la temperatura è di 6-7°C), immobili per tre quarti d’ora, poi un’ora e mezza di viaggio, infine alla partenza.
Bellissima la cornice, entusiasmante il tifo dei locali, ottima l’organizzazione (ristori ogni 3km e mezzo, solo acqua tranne che al 21km con banane e datteri).
Non fosse che al 24km si fa sentire il ginocchio sinistro che aveva ceduto la settimana prima: dieci minuti di stop, poi riparto, e meno male che uno Spagnolo mi fischia e mi avverte che sto sbagliando strada tra le dune.
Si va avanti tra chi corre, chi cammina, chi impreca per le vesciche (le A3 erano poco protettive, le mie A5 hanno tenuto bene) e il mio ginocchio che a poco a poco torna in sé.
Tagliare il traguardo è stato bellissimo, tempo non eccelso (4h 25min) e gran finale con gli ultimi 500m abbondantemente sotto ai 4min/km, giusto per lasciare lì l’ultimo pezzo di polmone.
Felicissimo, perché finalmente mi ero scrollato di dosso l’ansia da cronometro per godere della luce, degli odori e dei rumori di uno sfondo eccezionale.
Le sensazioni più belle le ho provate però giovedi, quando alle sette di mattina sono partito da solo fuori dal villaggio per una 13km: arrivato ai bordi di una catena di colline sabbiose le ho affiancate fino a perdere di vista le capanne, lungo una pista battuta, forte vento contrario e il cielo che annunciava la grandine (caso più unico che raro) che si è abbattuta dopo un’ora.
In quella solitudine era impossibile non sentirsi persi, e correre pensando alle parole di De Andrè (che sembrano prese di peso da Chatwin): per la stessa ragione del viaggio, viaggiare.
Per saperne di più: http://www.saharamarathon.org/